Con tutto il rispetto per un grande artista come Vasco Rossi, ma “vietare” il testo della sua canzone “C’è chi dice no” sarebbe come “vietare” “Ambarabà ciccì coccò tre civette sul comò..”. Praticamente una caccia alle streghe. Perché sarebbe veramente difficile trovare qualcuno che riesca a trattenersi dopo un “il dottore si ammalò”. L’ “Ambarabà ciccì coccò” è naturale, spontaneo, bello. Ha una struttura circolare democratica che può essere ripetuta a piacere. E “C’è chi dice no” non si distacca troppo da una filastrocca che sì
trasmette concetti forti, senza scomodare la figlia del dottore, ma sembra far di tutto per entrare nelle parole di chiunque. E con tutto il rispetto per un grande artista come Vasco Rossi, se ci riesce è naturale, spontaneo, bello. La reazione del cantautore che sottolinea come “c’è chi usa le mie canzoni per le sue campagne politiche e di opinione. Voglio sia chiaro che io non autorizzo nessuno a farlo e per quello che mi è possibile cerco di impedirlo” ha meno senso di tre civette che fanno l’amore sul comò. Affermazioni che vestono Vasco Rossi con la giacca istituzionale, la cravatta d’ordinanza e il fazzoletto sul taschino; ed è veramente più facile immaginarsi tre civette che si divertono con la figlia del dottore. Fanno trapelare, senza troppi indugi, che c’è qualcosa che non va nell’idea politica di chi la canzone la canticchia. Sarebbe come censire l’utilizzo di “Ambarabà ciccì coccò” nel gioco della conta, invitando a trovare parole più originali ai non prescelti. Che poi in questo caso la vera strumentalizzazione a fini politici sembra uscire dalle parole del cantante, che evidentemente non sembra far di tutto per entrare nelle parole di chiunque. Non posso immaginare un Vasco che utilizzi una citazione del suo testo (spontanea, naturale, bella) per contrattaccare nel vestito di un politico vanesio e stizzito. “C’è chi dice no, c’è chi dice no, io non ci credo”.
Stefania Bozzo