Gianni Indino, presidente SILB-Fipe Confcommercio dell’Emilia Romagna: “Adesso basta! Pontifica su discoteche e futuro dell’intrattenimento sulla Riviera romagnola chi da tempo non se ne occupa più. Le discoteche sul nostro territorio non mancano, sono di livello altissimo e quando aprono sono sold-out. Le difficoltà del settore vanno ricercate nella concorrenza sleale su cui nessuno interviene e negli enormi costi di imposte e gestione dei locali. Ripristiniamo le regole potremo fare impresa come abbiamo sempre fatto e sappiamo ancora fare”
“Continuo a leggere e sentire valutazioni sulla situazione delle discoteche italiane e in particolare su quelle della Riviera romagnola dove rimbalzano le parole crisi e crollo, dove le piste vengono descritte vuote, dove si parla di giovani che preferiscono altro. Non posso essere d’accordo – dice il presidente regionale del SILB-Fipe Confcommercio, Gianni Indino – con chi, per avvalorare queste tesi, punta il dito in modo perentorio sulla scarsità di imprenditori illuminati, che di fatto avrebbero creato questo calo di affluenza nei locali. Ogni volta che una discoteca della Riviera apre, è sold-out. E lo dico senza timore di smentita.
Mi vorrei dunque rivolgere a quegli ex imprenditori che oggi pontificano e dissertano spiegandoci i motivi per i quali secondo loro i locali da ballo non funzionano più, dimenticandosi di dire che i primi a vedere scricchiolare il business sono stati proprio loro, con gestioni a dir poco sopra le righeche non hanno retto l’urto. Non sentiamo il bisogno delle loro analisi, come possiamo fare a meno di quelle di ex dj che hanno lavorato per tanti anni nei nostri locali, con cachet garantiti e onorati anche nei momenti più complessi e che ora sono andati ad ingrossare le fila di chi lavora in feste private e chiringuito, dove si balla abusivamente, offrendo musica che nulla ha di alternativo, attuale o all’avanguardia (ma comprare la musica costa e l’offerta al ribasso diventa modesta). Chi ha mangiato nel nostro piatto ora dice che a fare tendenza sono due casse e un mixer sopra un bancale di legno. È dunque questo è il nuovo che avanza? Tra i detrattori delle discoteche non mancano nemmeno i direttori di alcune radio nazionali, che per anni hanno inserito nelle programmazioni artistiche delle discoteche i dj delle loro emittenti e oggi che non hanno più dj in grado di tenere il palco di una discoteca di qualità, dicono che i locali sono finiti e non hanno più appeal sui giovani. Agli organizzatori di festival, concerti ed eventi dico invece che i locali da ballo non hanno mai subito la loro concorrenza perché se gli eventi sono organizzati bene e inseriti nel contesto dell’offerta turistica della nostra regione, portano turisti sul territorio e sono capaci di faredestinazione a vantaggio anche delle altre componenti dell’intrattenimento.
Come si fa a definire la Riviera romagnola un luogo dove le discoteche stanno scomparendo? Il nostro territorio in 20 km mette a disposizione di residenti e turisti più di 30 discoteche (tra cui la più importante a livello europeo, il Cocoricò di Riccione) con una concentrazione di locali che non ha pari al mondo: Altromondo, Villa delle Rose, Peter, Baia Imperiale, solo per fare qualche nome, sono in vetta alle classifiche di settore. E l’anno prossimo se ne aggiungeranno altre 3: lo Space, direttamente da Ibiza, il Pascià e l’Ecu con nuove gestioni e forti investimenti. Segno che gli imprenditori ci sono, che le idee e le innovazioni non mancano. Come si fa dunque a relegare questi locali di alto livello a ruolo di comprimari di un’offerta di intrattenimento che vira sempre più verso l’assenza di regole, dove impazza il tutto gratuito e scarseggia la qualità ?
Non voglio minimizzare le oggettive difficoltà che gli imprenditori della notte incontrano tutti i giorni per rimanere sul mercato, ma vanno chiariti i motivi. Il primo va sicuramente ricercato nelle situazioni abusive, ormai all’ordine del giorno, che da anni denunciamo ma su cui nessuno interviene. Questo è il vero dramma che subiscono le discoteche regolari, al quale si affiancano i costi esorbitanti che vengono chiesti. Ci piacerebbe che finalmente anche il nostro settore venisse equiparato a tutte le altre anime dello spettacolo che versano l’Iva al 10% e non come noi al 22%, vorremmo poter cancellare una volta per tutte l’anacronistica imposta sugli intrattenimenti per cui su ogni biglietto d’ingresso si paga subito allo Stato il 16%, sarebbe una boccata d’ossigeno contenere i costi dei diritti d’autore, paradossalmente aumentati dopo la caduta del monopolio e l’avvento di altre collecting-society. Insomma, vorremmo poter fare impresa senza lasciare subito il 50% dell’incasso alle imposte senza nemmeno vederlo entrare, a cui si aggiungono poi le tasse sui redditi e quel che rimane va utilizzato per tutto il resto: affitti, utenze, dipendenti e collaboratori, materie prime. Vorremmo poter fare impresa senza l’abusivismo dilagante che ci fa concorrenza sleale, vorremmo poter fare impresa come abbiamo sempre fatto e sappiamo ancora fare, senza farcela insegnare da chi si improvvisa analista. Per ora resta una vana speranza, ma non ci arrendiamo”.