Antropocene è un termine diffuso negli anni Ottanta dal biologo Eugene F. Stoermer che sta ad indicare l’epoca attuale, caratterizzata dai segni indelebili lasciati dal genere umano negli strati geologici del nostro pianeta. E’ la derivazione dal greco anthropos,che significa uomo. Olocene invece è il termine convenzionale usato per l’epoca geologica più recente, epoca che ha avuto il suo inizio convenzionalmente 11700 anni fa e che coincide (oltre per un notevole decadimento della quantità di Carbonio 14
nell’atmosfera) con la fine dell’ultima fase glaciale. E’ la derivazione dal greco holos, che significa “del tutto”. La civiltà umana moderna viene datata interamente dentro l’Olocene (attualmente nella cronozona Subatlantica), ma l’uomo ha modificato talmente tanto l’impatto ambientale che alcuni studiosi hanno (a ragione) inglobato una nuova età convenzionale. L’Antropocene viene fatto iniziare nel XVIII secolo, con l’avvio della prima Rivoluzione Industriale. Ed è impressionante come, in un tempo assolutamente
irrilevante da un punto di vista geologico, siamo riusciti a far cambiare volto alla Terra. Abbiamo imbruttito il Pianeta in tre secoli. Se la roccia dolomitica ci testimonia come tra litogenesi, orogenesi, morfogenesi la catena montuosa delle Dolomiti abbia impiegato milioni di anni per prendere forma, l’anthropos ha dei seri problemi con il chronos (tempo). E’ il Flash-Anthropos della distruzione. Il fotografo Edward Burtynsky, in mostra alla fondazione MAST di Bologna fino al 5 gennaio 2020 con l’esposizione dal titolo “Anthropocene”, si fa testimone di un’era “del tutto” fuori tempo. Non può essere inserita nel Quaternario, è tutt’altra cosa. Siamo fuori dalla geologia. Basta guardare ad esempio le foto di Burtynsky sul “bunkeraggio” del petrolio (la serie “Oil Bunkering”) nel Delta del Niger, o le distese di plastica a Kenya (in foto), per capire che i segni lasciati nell’attuale strato geologico dall’uomo ci inseriscono attualmente in una specifica cronozona dell’Antropocene, il “Katacene”. E’ la derivazione dal greco katà, che significa “fondo”.
Stefania Bozzo
Edward Burtynsky
Dandora Landfill #3, Plastics Recycling, Nairobi, Kenya 2016
photo © Edward Burtynsky, courtesy Admira Photography, Milan / Nicholas Metivier Gallery, Toronto