Opinioni 12:47 | 26/04/2025 - Rimini

L'ex Deputato Sergio Pizzolante mette alcuni punti su: Francesco. L’amnistia. Il racconto di un un giorno di Pasqua nel carcere di Rimini.

L'ex Deputato Sergio Pizzolante scrive alcuni pensieri su Francesco. L’amnistia. Il racconto di un un giorno di Pasqua nel carcere di Rimini.

Il modo migliore per onorare il Papa è l’amnistia.

Ho visto il dibattito parlamentare per la commemorazione del Pontefice e non ho sentito una parola sul carcere.

Lui ci era andato la settimana prima di morire.

Il clima, i migranti, le guerre, le armi, gli ultimi.

Ognuno si è preso un pezzo di Papa.

Nessuno ha citato il Papa per una delle sue più grandi missioni: le visite, il trasporto, il dolore, le donazioni, per gli uomini e le donne dietro le sbarre.

Dentro carceri sovraffollate e in condizioni degradanti e disumane.

Ho passato il giorno di Pasqua in visita, con il Partito Radicale, nel carcere di Rimini, non fra i peggiori, ma è stato sufficiente per capire che almeno la metà di quegli uomini non dovrebbe stare lì. Almeno la metà.

Vi racconto la giornata. Per capire.

Il carcere di Rimini è nel verde lì adiacente il Colle, esci dalla statale, vai subito a sinistra, se prosegui sei sopra, ville, verde intenso, il Paradiso che fu, la Rimini scintillante del ballo e del sogno.

Se invece al bivio, al bivio, vai verso destra, case di campagna, una casa in campagna più grande, quella Circondariale. Il carcere.

Gli incubi e i sogni possono stare nello stesso corpo.

Personale gentilissimo.

Una giovane donna, agente di polizia penitenziaria, che sembra Jasmine Paolini, sorridente, gentile, ferma. Ci accoglie.

La grazia all’ingresso del luogo dove si espiano disgrazie.

L’agente ci consegna all’ispettore capo Frisina, che non ci abbandonerà mai. Buone sensazioni.

Poi arriva la direttrice, dottoressa Palma Mercurio.

Lasciate stare i film, i visi cupi, il linguaggio burocratico, l’esatto contrario. Sensazioni buone.

Poi entri nel tunnel dove l’umano abbandona l’umano.

Struttura per i semi liberi, semi liberi, suona male, suona come semi uomini, sono in 16, 4/5 per stanza. E’ un grande appartamento, piccolo per sedici persone. Donazione antica del Comune di Rimini, diventata vecchia. Troppo.

Lavori di manutenzione a singhiozzi interminabili. Decenni. Le docce con pavimenti vari, di varie prove di pavimento, patchwork.

Le porte a soffietto sono state ordinate. Da tempo. Ma chiedono troppo per il trasporto e quindi niente. Vediamo cosa fare.

C’è chi ti guarda contento, chi abbassa gli occhi. Occhi bassi. Non sai se sei il benvenuto. Sei entrato dentro il dolore degli uomini senza chiedere permesso. Sensazioni contrastanti.

Ci vorrebbe poco per rendere tutto più dignitoso, le porte, i muri, i pavimenti, il giardino incolto.

Mancano il trasporto, le vernici, i semi, le vanghe.

Vi sembrano cose piccole? Facili da ottenere?

Difficilissimo. Molto. Troppo. Vediamo che fare.

Però sono impressionato dello stacco che c’è fra il grande, importante, umano, impegno degli operatori, dalla Direttrice agli agenti, e le difficoltà ad avere risposte dal resto del mondo. Impressionante.

Poi la sezione pre comunità. Il passaggio dal carcere alle comunità terapeutiche per le tossico dipendenze. Passaggio difficile. C’è bisogno di cure. Di professionisti. Medici, psicologi, psichiatri, educatori. Se ne occupano i servizi del Comune, attraverso le cooperative sociali.

Ma il servizio è difficile. Il carcere non ha personale sufficiente e lì quindi non c’è un agente fisso. Gli operatori hanno difficoltà a svolgere il loro lavoro perché non si sentono sicuri. Basta un uomo, per recuperare tanti uomini. Sembra una soluzione facile. Difficilissimo.

Sensazioni controverse.

Iniziamo il percorso più difficile.

Le sezioni di detenzione piena.

156 detenuti, alcuni anni fa si arrivò a circa 300, negli stessi spazi. Con l’inizio della Bossi/Fini.

83 stranieri. Con condanne definitive 105, per carcerazione preventiva o in attesa di sentenza 55. Alcuni in carcerazione preventiva di 10/12 mesi senza nemmeno la prima condanna.

Statistiche consolidate dicono che circa la metà di queste persone risulteranno innocenti.

Una persona è entrata in carcere adesso dopo 15 anni di processo. 15 anni. Era un altro uomo.

La metà, almeno,dei 156 non dovrebbe stare lì. Non dovrebbero stare lì. Fidatevi. Altro non dico.

La prima sezione. Saranno trent’anni che visito il carcere. Sempre peggio. Posto lugubre, sono stati stanziati, dal ministero, i soldi per ristrutturare, ma non si riesce a fare la gara. Da un bel po’.

C’è qualcosa di più indegno di una sezione indegna del carcere, la burocrazia.

Le sbarre e gli uomini dietro, materassi di spugna, oggetti travolti dal tempo, pareti scolpite dalle stagioni, bagni che “nemmeno in Uganda”, direbbe Gaber, acqua calda a tratti, freddo, freddissimo, sempre, col freddo, caldo, caldissimo, sempre, col caldo.

E le spugne assorbono.

Le menti pure.

Andrebbe chiusa. Ma somiglia molto al resto delle carceri italiane. Quindi non si chiude.

Le altre sezioni sono più dignitose.

Una un po’ meno, dove si va in punizione. 22 ore al giorno chiusi in cella. In tre o quattro. Periodi brevi mi dicono. Necessari.

Diverse umanità.

Voi pensate che tutti i detenuti vorrebbero stare lontani dalla sezione 1? Errore.

C’è richiesta di trasferimento in quell’inferno.

I giudici, bene, hanno stabilito, per evidenti ragioni di umanità, per le condizioni disumane, che in quel posto conquisti un giorno su dieci di sconto sulla pena. Circa un mese all’anno.

Immergersi nelle peggiori condizioni di vita per giorni di vita.

Cosa c’è il quel posto che teniamo lontano dalla nostra mente, che ci fa giudicare gli uomini come diversi da noi, che ci fa decidere, leggendo su internet, chi frequentare e chi no, chi assumere e chi no, da chi diffidare.

Ci siamo noi. Siamo lì. Ci sono errori che si trasformano in carcere. Errori di un tribunale o della persona. Cose che ci possono capitare o che facciamo capitare. Molti di loro sono stati solo più sfortunati. Noi non sappiamo conoscere la nostra fortuna, non la vogliamo conoscere, sappiamo disconoscere. Gli altri. Spesso. Più comodo.

C’è l’ex giocatore di basket, senegalese, serie B in Sardegna, due metri, poi improvvisamente in disgrazia, vende magliette e vestiti contraffatti per sopravvivere. Carcere. Ha lo sguardo dolce, sofferente ma dignitoso.

Non ho le scarpe per allenarmi, mi dice, 48.5 e mezzo. Ti alleni? Tiri al canestro? No tiro, senza canestro. Il canestro non c’è.

Potrei allenarmi e insegnare se ci fosse un canestro e se avessi delle scarpe. Vediamo che fare.

C’è il ragazzo di 18 anni nella Sezione 1, lì da 6 giorni, per una rissa. Tunisino marocchino, mi dice. Quanto dovrai stare qua? Non lo so. Mi dice.

C’e’ qualcosa che mi turba molto. Sensazione opposte. Penso potrebbe essere mio figlio e nello stesso tempo qualcuno che potrebbe fare male a mio figlio. O mia nipote. Penso che stando li la seconda ipotesi potrebbe essere quella più vicina.

Stando lì. Non dovrebbe stare lì.

C’è l’imprenditore, sino a 140 dipendenti, edilizia, crisi del 2008, bancarotta, galera.

C’è il commerciante che, mi dice, apro negozio, poi vado in galera e lo devo chiudere, poi esco e devo “fare qualcosa” per permettermi di riaprirlo, poi torno in galera. Non ne esco più.

E come se ti dicesse che non è con la galera che può pagare quello che magari merita di pagare.

Ha un senso. Vale anche per l’imprenditore edile. Sembra strano lo so.

Vado in astratto, in generale.

Fai un errore. Paghi, devi pagare, se sei in galera non paghi nessuno.

La galera non ha senso. Nessun senso. Secondo me. Salvo il pericolo fisico per le persone.

La galera facile è entrata nella nostra civiltà prepotentemente, negli ultimi decenni. Il moralismo, il giustizialismo. Veleni. Vogliamo le manette e le sbarre per gli altri.

Io, diceva la principale fonte dei miei pensieri, non ho mai visto un moralista onesto. Mai.

Condivido questa idea con quelle due tre persone che la pensano come me.

Tentai, alcuni anni fa, di lavorare ad un progetto di legge che prevedesse alcune settimane di volontariato in carcere, per gli uomini che hanno un potere legale o morale sulla libertà delle persone. Parlamentari, Magistrati e giornalisti.

Notai scarsissimo interesse. Ad iniziare dai miei colleghi. Mollai. Errore.

Grande errore.

In carcere ci sono andato con Ivan Innocenti, del

Partito Radicale, per una sensibilizzazione sulla

proposta di legge Zuncheddu.

32 anni in carcere da innocente.

Fuori senza scuse, con una borsa di plastica.

Senza trentadue anni di vita, senza soldi e con debiti. Lo stato mette anni a risarcire.

Il progetto prevede una provvisionale immediata in attesa della decisione finale.

Ecco.

Se la politica, il Parlamento, i partiti, volessero davvero onorare il meglio di Francesco dovrebbero trovare il coraggio di una legge per i tanti Zuncheddu e per una Amnistia, un Indulto.

Per ricordarci che possiamo essere umani.