Ho chiesto a Piero Meldini di scrivere due righe per festeggiare i 18 anni del Beato Enrico. E lui, puntuale, mi ha regalato questa chicca.
Si può essere il padrino (in Romagna diciamo il “santolo”) di un vino? Beh, io lo sono. Sono stato io a battezzare il Beato Enrico, il Sangiovese Superiore cavallo di battaglia della Tenuta Santini. Era, mi pare, il 2001 e l’amico Enrico mi domandò se avevo un nome da suggerirgli per un Sangiovese che stava per essere commercializzato. Dov’erano le vigne? A Passano di Coriano. La scelta era obbligata, almeno per me. Qualche anno prima, nel 1997, il quotidiano “Avvenire” aveva proposto a 25 scrittori italiani di scrivere un racconto su un santo o un beato a loro scelta da pubblicare nel mese di agosto. I santi che gli altri avevano scelto erano in genere tra i più noti e venerati. Io avevo raccontato la storia, o forse la leggenda (aurea, naturalmente), di un giovane pellegrino ungherese del XV secolo che, dopo un viaggio faticoso e travagliato, consumato da una “lenta ma pericolosa febbre” si era fermato a Passano, presso la celletta della Madonna e lì era morto. Il Beato Enrico, appunto. Dopo qualche iniziale perplessità, la proposta di intitolare un vino a questo beato, venerato localmente ma sconosciuto altrove, fu accolta con entusiasmo. Non dovrei dirlo, ma fu una scelta felice forse anche perché guardata di buon occhio dall’alto, ma sicuramente per il carattere e la qualità del Sangiovese. Essendone stato il padrino, mi sono molto affezionato. Ha la schiettezza un po’ ruvida, ma anche l’amichevolezza dei vecchi romagnoli. Cambia ogni anno, ma è sempre riconoscibile. La vendemmia 2019 è sorprendente: ha la maturità, la finezza e le note speziate di un grande Sangiovese. Prosit.
Rurali sempre e auguri di Buona Pasqua.
Enrico Santini