Salvador Dalì e Matteo Renzi si assomigliano. Il pittore catalano è stato puro surrealismo, pur non essendo di fatto intimamente legato ai rappresentanti del movimento artistico, e continuò a rivoluzionarsi anche a corrente spenta. Dalì è immortale. Un po’ come Renzi, Il Pd è morto ma lui vive ancora in quanto artificio prima che natura, etichetta politica di se stesso prima che uomo. E se il surrealista spagnolo è riuscito a creare un impero grazie alla sua esplosiva personalità, il Renzone nostrano ha tentato l’emulazione attraverso deliri calcolati espressi a caso con la politica. E’ più surrealista di Dalì. E anche più visionario. Nell’ammirare le artificiose visioni del pittore si interscambiano inutilità, che vacillano fra i paradossi del clamore. E la sua aspirazione personale porta alla deriva l’osservatore, lo tormenta. Quale esigenza umana dietro tale onirica prefabbricazione? Forse nessuna, ma comunque ha dipinto, c’è, all’infinito. Esattamente come l’ex segretario del Pd; niente in lui fa presumere il politico, ma comunque politicizza, c’è, all’infinito. Cavalcano entrambi uno sfrenato ed eterno individualismo. Ma mentre l’artista ragionava per addizione, inglobando nella sua personalità tutto e tutti (Napoleone, un golfo, un evento, un cuoco, il formaggio, Cristo), il politico tende a puntualizzare quello che non è e che non fa. “Non penso di essere Mr Wolf, ma nemmeno Paperoga” (Ottobre, 2014), “Il mio obiettivo non è fare contento d’Alema” (Settembre, 2014), “Non sono io a personalizzare il referendum” (Maggio 2016). Insomma, a differenza di Dalì, non è che si piglia il mondo, anche se col mondo twitta continuamente. Mentre per comunicare con la nostra contemporaneità l’artista catalano sarà nelle sale cinematografiche dal 24 al 26 settembre nel film “Salvador Dalì. La ricerca dell’immortalità”, attraverso un viaggio nell’eccentricità della sua vita e delle sue opere nella sua amata terra. Matteo, l’immortale, intanto ha iniziato con un documentario…
Stefania Bozzo