L’amore tra Jack e Rose sembra impetuosamente dipinto all’interno di un quadro drammatico, ma essenziale cornice per contenerlo. E l’effetto travolgente della loro storia cinematografica, adagiata sull’affondamento più tragicamente conosciuto, accosta al minuzioso realismo ricercato dal regista James Cameron una certa trasparenza dell’immagine. Come se le scene fossero alitate, e saturate in seguito dal tumulto delle emozioni. L’impalpabilità della sagoma della mano di Jack, sul vetro appannato della macchina che contiene la passione dei giovani, è il simbolo di tale eterea percezione. L’alito originale. L’opera colossale del Titanic riesce a rendere realista l’anima, la ricalca, la indurisce; muovendosi attraverso destini imprevisti che acquistano un senso anche e soprattutto nella tragedia. Jack e Rose sono la metafora di questo paradosso. Un amore insistentemente vivo perché messo di fronte alla fine. L’amore prende forza con la morte e la morte acquista senso nell’amore. “Ora passa e declina, con lentezza indicibile, il miglior tempo della nostra vita, e lungamente ci dice addio” (“Autunno”, Cardarelli). Nel film invece il miglior tempo della vita dei protagonisti è passato velocemente, con un tempestivo addio che riesce a saturare l’emotività di qualsiasi spettatore. Nella cornice di un dramma indescrivibile quel “Salti tu, salto io!” fa trapelare la sorprendente convinzione che il bene sia tutto da una parte e il male dall’altra. E’ una frase che nella sua semplicità mette un muro, separa. L’amore o è o non è, e se è può stare solo nel suo spazio. Nella finzione cinematografica l’amore tra Jack e Rose è stato dipinto nel male, nella parte opposta, nella catastrofe; per dimostrarci che però può rimbalzare ovunque. E in quello spazio, nel dramma vero, ha avuto più possibilità di farsi sentire; alitando il male, saturando l’amore. Riguardare Titanic, nelle sale cinematografiche dall’8 al 10 ottobre a 20 anni dalla sua prima uscita, significa rientrare nuovamente in quel quadro drammatico per cercare quella metafora dipinta. Laggiù, nel cuore dell’Oceano.
Stefania Bozzo